venerdì 27 giugno 2008

Le ragioni di un percorso

di Giovanni Trisolini

Nel mese di settembre dello scorso anno, la Camera del lavoro ha organizzato un convegno riservato a funzionari e delegati su un tema di dirompente attualità, quello inerente la sicurezza urbana. In quella sede, è subito emerso l'interesse suscitato dall'argomento in tutti i partecipanti e l'importanza di procedere ad una analisi più approfondita delle varie dimensioni in cui si esprime.
La scelta di destinarlo a soli funzionari non è stata casuale, poiché diretta a soddisfare la necessità di avviare una riflessione interna su una tematica così scottante sulla quale la Camera del Lavoro si era poco confrontata in precedenza.

A tal fine, è stato costituito un gruppo di lavoro, composto da funzionari dello SPI, dell'Uff. Immigrazione, della FP, della SLC, del SILP, del coord. CGIL Pol. Loc. e dal sottoscritto, che ha definito un programma di approfondimento sui seguenti argomenti:
➔ Dinamiche socioeconomiche nella sicurezza urbana;
➔ Immigrazione e diritti della persona;
➔ Le politiche di sicurezza urbana:sviluppo modelli e prospettive future;
➔ Infiltrazioni mafiose nel territorio reggiano.

Ha colpito in modo particolare, l'analisi effettuata dal sociologo della Fondazione di Vittorio, Vincenzo Moretti, il quale ha evidenziato come sia in crisi il modello sociale cui eravamo abituati, come siano venuti meno i riferimenti e valori cui ci siamo sempre ispirati (impegno, solidarietà, vita associativa ed altre forme di partecipazione democratica), di come siano venuti meno legami sociali e familiari e la gente, soprattutto le fasce più deboli, sia sempre più sola nell'affrontare le problematiche vissute o percepite poiché la rete di protezione è stata sostituita da un modello sociale cosiddetto liquido, improntato al modello del consumo.
La gente esige la soddisfazione immediata dei bisogni, tutto quello che gli viene proposto dai mass-media può essere suo, andandolo ad acquistare.
Di fronte alla complessità della società moderna ai continui e repentini cambiamenti
alla esigenza di risoluzione dei nuovi problemi, non vi è più la disponibilità a confrontarsi, a riflettere, a mettersi anche nei panni degli altri, a ricercare soluzioni che soddisfino i bisogni di tutti e complessivi della società in cui viviamo.
Questo quadro credo possa offrire una chiave di lettura del consenso alla destra, all'idea ” dell'uomo forte che risolve i problemi in poco tempo”, e di cui anche alcuni amministratori di sinistra pare non essere indenni.
Inoltre, molto stimolante e di specifico interesse per una organizzazione sindacale come la nostra è apparsa l'analisi relativa all'attuale fase di sviluppo delle società industrializzate, nelle quali il lavoro e la precarietà sono sempre più collegati.
Egli ha evidenziato come, negli ultimi 25 anni, la durata e la profondità delle crisi economiche siano lievitate, cose queste, che hanno ripercussioni sull'instabilità del lavoro, sull'insicurezza dei lavoratori, sul livello di frustrazione associata alla perdita di Status. Pertanto, alla sconfitta del mercato sembra corrispondere una perdita della stima di sé, l'aumento del senso di colpa si associa alla perdita dell'autonomia, della dignità e della perdita del valore del lavoro.
Il rapporto dell'International Labour Organizzation del 2004 ha evidenziato che il lavoro non può più essere valutato soltanto sulla base del tasso di occupazione, del livello di reddito e della flessibilità) e che il benessere dei lavoratori è dato , insieme ad un reddito dignitoso, da indicatori qualitativi come:
➔ stabilità;
➔ sicurezza dell'impiego;
➔ diritti e tutele normative.

Nel suddetto rapporto sono indicati sette indicatori che determinano l'indice di sicurezza economica:
➔ l'occupabilità;
➔ il lavoro regolare e non soggetto a licenziamenti arbitrari;
➔ la salvaguardia della salute e la tutela in campo infortunistico;
➔ la crescita professionale;
➔ l'acquisizione di nuove competenze e conoscenze;
➔ la protezione del potere d'acquisto dei salari;
➔ la presenza di soggetti forti di rappresentanza.

Questa è solo una parte della complessa analisi effettuata da Vincenzo Moretti,
e rimando ai documenti allegati, nonchè al blog presente su internet e pensato per gli approfondimenti del gruppo di lavoro della CGIL di RE.
Nella sostanza credo si possa riassumere come la perdita di status generi una sensazione di insicurezza che ha riflessi su tutti gli aspetti della vita di ognuno. Pone perciò l'esigenza di avere una visione molto ampia nel tentativo di leggere i vari ambiti cui è connesso il tema “ sicurezza”, quali quello della promozione di una cultura veramente solidale e rispettosa della diversità, dell'educazione alla legalità, delle politiche per l'accoglienza, della promozione di una cultura che combatta ogni forma di violenza e sopraffazione verso le fasce più deboli ( si pensi alla violenza esercitata sulle donne e i minori che avviene nella stragrande maggioranza dei casi nell'ambito familiare).

Riduttivo, fuorviante e funzionale a certi obiettivi politici appaiono, perciò, le scelte del governo di destra che fanno degli immigrati irregolari l'unico oggetto delle politiche per la sicurezza urbana .
Non si vuole qui disconoscere il problema , ma si vuole ribadire la necessità di comprendere come questo sia collegato ad una esigenza di sviluppo economico delle nostre imprese, al welfare locale, al bisogno di far fronte alla riduzione delle nascite di cui il nostro paese insieme al Giappone detiene il primato .
Non mi soffermerò sull'impianto della BOSSI -FINI ne sulle proposte del nuovo pacchetto sicurezza presentato dal governo. Per una analisi complessiva ed approfondita della tematica rinvio alla sintesi dell'intervento di Alessandra Ballerini, tenuto in occasione dell'iniziativa della Camera del lavoro la scorsa settimana, la quale con passione, ha evidenziato come le scelte proposte in materia di stranieri rendono più difficile l'esercizio dei diritti fondamentali quali la libertà personale, il diritto d'asilo, il diritto all'unità familiare e alla libertà di circolazione e di soggiorno dei cittadini comunitari ed extracomunitari in Italia, privilegiando interventi di repressione dell'immigrazione illegale, riducendo le effettive possibilità di ingresso regolare per motivi di lavoro e le misure di integrazione sociale.

Altro tema che ha attirato l'attenzione dei partecipanti è stato quello delle infiltrazioni mafiose nel tessuto socio-economico reggiano, affrontato da Enzo Ciconte, studioso del fenomeno, e dal procuratore della Repubblica di Reggio Emilia, Dott . Materia.

La rappresentazione del fenomeno ha evidenziato come lo studio e la ricerca della presenza e dell'attività criminale nella realtà regionale abbia un'importanza strategica fondamentale perché permette di riconoscere un tema molto sensibile, solitamente misconosciuto, sottostimato, considerato appannaggio di altre realtà territoriali.

La relazione di Ciconte ha rilevato come, il processo d'infiltrazione mafiosa nella realtà socio-economica reggiana, come in altre realtà del centro-nord d'Italia, sia avvenuto a partire dai primi casi di soggiorno obbligato di alcuni esponenti della criminalità organizzata.
Dallo studio di diversi atti processuali emerge come a Reggio Emilia esponenti della 'ndrangheta calabrese (A. Dragone, 1982), intorno ai quali si strinsero altre persone che vivevano qui da tempo, abbiano trovato lo spazio per intrecciare affari, occupare un territorio, espandersi economicamente, allearsi a parti della criminalità locale, ed affermarsi come organizzazione dominante perché strutturata sul piano organizzativo in modo più efficiente.
Ad essa si è aggiunta, nel tempo, la presenza di criminalità d'origine straniera che, pur compiendo reati che destano un forte allarme sociale (furti, scippi, rapine, prostituzione, droga) non raggiunge la potenza della 'ndrangheta che si conferma, pertanto, l'organizzazione più forte a livello nazionale ed europeo, quella che ha maggiori presenze e filiali nelle città del centro-nord d'Italia.
Droga, estorsione, riciclaggio del denaro sporco in diversi settori della finanza, della compra-vendita immobiliare e commerciale, sono le attività che fanno della 'ndrangheta l'organizzazione criminale dominante nella realtà reggiana, molto radicata in alcuni settori economici, quali l'edilizia e trasporti.
Vittime privilegiate dell'attività illecite sono gli stessi cittadini d'origine calabrese che, pur vivendo e lavorando da anni a Reggio Emilia, riconoscono la potenza di tale organizzazione e possono subire ritorsioni su beni o familiari siti nel luogo d'origine.
La 'ndrangheta reggiana, come quella operante in tutta l'Emilia Romagna, è collegata in un rapporto di subordinazione all'organizzazione madre che ha sede in Calabria, ma si distingue da questa solo per l'assenza di un radicamento nel tessuto socio-politico, radicamento, invece, che appare maggiore nelle città della Lombardia. Le cause di ciò vanno ricercate in questo contesto ambientale, sociale, culturale e storico che, per sua natura, non permette infiltrazioni profonde nel tessuto generale di una società evoluta e orientata verso valori altamente qualificati.

La conoscenza, quindi, del proprio territorio è una condizione essenziale per salvaguardarlo dalle infiltrazioni criminali, per guidare le amministrazioni locali nell'adozione di politiche di prevenzione, miranti a sensibilizzare la consapevolezza dei cittadini, ad assicurare il rispetto della legalità, la coesione sociale ed a creare barriere che ostacolino le organizzazioni ancora attive ed impediscano l'insediamento ed il rafforzamento di altre organizzazioni criminali.

In proposito è importante chiarire che le politiche contro le attività criminali, rivolte a previnire e reprimere comportamenti illeciti, rappresentano solo una parte delle politiche per la sicurezza che riguardano tutti i cittadini la qualità delle loro relazioni e dell'ambiente in cui vivono.
E' importante approfondire il nuovo modello della Polizia locale tracciato dalla L. Regionale della Emilia Romagna n.24 del 2003 e capire come questa possa operare in concerto con le altre forze di Polizia sul territorio pur nel rispetto delle specifiche competenze e funzioni. Oggi si tenta da più parti di snaturare il ruolo delineato dalla Legge non affrontando il problema, lasciando in questo modo ampi spazi di manovra alle forze politiche della destra che ancora una volta tentano di fare presa sull'opinione pubblica e sugli stessi operatori su argomenti a mio modo di vedere secondari (per esempio le dotazioni di manganello o sprai vari al peperoncino) . Come pure importanti appaiono gli strumenti offerti dalla legislazione regionale per assicurare un maggior controllo del territorio e costruire condizioni di buone relazione e convivenza civile nelle città.
A tale proposito la strada intrapresa dal Comune di Reggio Emilia con la firma di patti per la coesione sociale a partire da quello della zona stazione sottoscritto anche da noi, credo sia la strada adeguata anche se sono partiti con un po di ritardo.
Si tratta di strumenti che impegnano tutti e i cui risultati non si può pensare giungano in breve tempo. Credo che il limite dell'iniziativa consista nel non aver fatto progetti su tutti i quartieri ma, di averli limitati alle sole zone con la più alta concentrazione di cittadini stranieri.

I momenti di approfondimento che ho riassunto sono stati per me , come credo per tutti gli altri compagni e compagne che vi hanno preso parte, occasione di conoscenza straordinaria dell'insieme dei fenomeni che sono alla base della discussione in atto sulla sicurezza urbana. La complessità della società in cui viviamo ha urgente bisogno di essere conosciuta in maniera scientifica perchè si possa uscire dal disorientamento ed esprimere posizioni competenti. Credo che sia stata una occasione formativa per una parte di funzionari e che questi momenti debbano allargarsi e proseguire in futuro.
In proposito ritengo che debba essere favorito il coinvolgimento dei nostri compagni dell'Ufficio Immigrazione che per i conosciuti carichi di lavoro non hanno potuto partecipare a tutte le iniziative. A me come immagino agli altri colleghi presenti in quelle occasioni è mancato il confronto con loro, che non è solo quello politico sindacale, penso anche a quello più di relazione umana, che mi auguro di recuperare in futuro. Credo che la materia debba essere dibattuta non solo tra di noi e che debba diventare oggetto di riflessione e confronto nei posti di lavoro. Se non seguiremo questa procedura, quella alla quale siamo abituati nella pratica sindacale, rischiamo di fallire nel nostro intento. Inquanto, le prese di posizione, i documenti elaborati rischiano di rimanere parole vuote e formali se non si promuove tra i lavoratori e i cittadini tutti il dibattito.
Oltre a queste iniziative, nel corso dell'anno, si sono tenuti altri momenti di analisi su temi sociali che direttamente si ricollegano al tema trattato oggi e che hanno coinvolto il mondo della scuola e le giovani generazioni.
La pena di morte, la figura di Di Vittorio come sindacalista e costituente per tutta la parte relativa ai diritti, alla solidarietà, al valore del lavoro, Don Milani e i nuovi esclusisono sono stati alcuni dei temi trattati con gli studenti del liceo scientifico Spallanzani e del Liceo Socio-pedagogico M. Di Canossa . In tali occasioni è emersa da una parte una voglia di partecipare di conoscere , sensibilità a volte inaspettate, dall'altra una preoccupante indifferenza mancanza di punti di riferimento , di valori. In una delle scuole dove si è tenuta l'iniziativa contro la pena di morte con Rick Alperin di Amnesty USA , gli insegnanti che hanno successivamente approfondito il tema con gli studenti, hanno registrato una preoccupante maggioranza di ragazzi d'accordo con la pena di morte.
Questo credo debba farci riflettere più di ogni altra cosa. Ritengo che la riflessione avviata in questi mesi debba tener conto anche delle nuove generazioni, di chi saranno i cittadini del futuro e che pertanto si debba tentare un maggiore collegamento con le giovani generazioni e i loro ambienti di vita e formazione. A tale proposito ritengo indispensabile anche che la Camera del lavoro di Reggio Emilia si ponga l'obiettivo di pensare uno spazio situato nelle proprie strutture dove i giovani possano avere accesso per ad esempio consultare documenti normative, contratti protocolli, navigare su internet ed ogni quant'altro possa favorire la vicinanza e la conoscenza reciproca.
Ringrazio i colleghi del gruppo di lavoro e tutti quelli che hanno creduto e partecipato alle varie iniziative. Ringrazio inoltre la segreteria per aver voluto questi momenti di approfondimento, segreteria alla quale viene consegnato il materiale prodotto sicuro che possa servire come contributo alla discussione in corso.

lunedì 9 giugno 2008

Questioni di sicurezza

Lavoro di gruppo sulla relazione di Alessandra Ballerini
sintesi a cura di
Marianella Casali

La prima formulazione della legge 189/2002 ovvero della“Bossi Fini” titolava in “Legge a tutela della cultura italiana” e già tale configurazione esprimeva bene l'impianto legislativo e gli intenti ad essa sottesi. La Bossi -Fini non ha mai costituito un vero e proprio testo organico e rivisitato rispetto alla legge Turco-Napolitano del '98, ma di un testo emendativo in pejus della stessa.

L'attuale “Pacchetto sicurezza” di cui il decreto legge n°92 del 23/5/2008 e il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 21/5/2008 sulla dichiarazione di stato d'emergenza, in relazione alle comunità nomadi in alcune regioni italiane, unitamente a schemi di decreti legislativi relativi a prossime modifiche e integrazioni pone in massima evidenza la questione del diritto d'emigrazione in strettissima relazione con la tutela dei diritti umani, ad esplicito completamento della Bossi Fini.

Le nuove norme adottate o proposte in materia di stranieri , immigrazioni e diritto d'asilo aggravano notevolmente le condizioni del sistema di diritto degli stranieri in Italia, rafforzando e irrigidendo prevenzione e repressione dell'immigrazione illegale, indebolendo notevolmente le effettive possibilità di ingresso regolare per motivi di lavoro e le misure d'integrazione sociale.
Le norme sono esplicitamente restrittive e spesso controproducenti , in particolare rispetto all'obiettivo di assicurare le legittime esigenze di diritto alla sicurezza personale , al di là della cittadinanza di riferimento.

In particolare, si tratta di alcuni punti di particolare rilevanza che aggravano la condizione dei cittadini extracomunitari:
1) introduzione del reato di clandestinità, che criminalizza la condizione stessa, ancor prima che venga comminata l'espulsione e che aggrava di 1/3 qualsiasi reato commesso, in quanto clandestini. La legge, in tal senso, punisce la condizione soggettiva, prima della condotta
2) inasprimento delle norme per chi chiede asilo politico e per chi fa domanda di ricongiungimento familiare ( test DNA), dando un enorme sfera di discrezionalita' all'autorità di pubblica sicurezza e/o amministrativa circa le modalità di accesso alle procedure in esame
3) allungamento dei tempi di trattenimento nel CTP che modificano, tra l'altro, la propria funzione in “ Centri di identificazione e di espulsione”, con un innalzamento fino a 18 mesi del periodo di trattenimento, che risulta misura limitativa della libertà personale prevista dalla legge e rendendo ancor più inedeguata l'attuale funzione, capienza complessiva del sistema CTP , nonché di un aumento degli oneri finanziari dello Stato.
4) limitazioni della possibilità di acquisto della cittadinanza italiana per matrimonio: si allungano a 2 anni i termini di residenza legale in Italia ai fini dell'acquisizione della cittadinanza per lo ius matrimoni
5) introduzione di regole più restrittive per il trasferimento di denaro all'estero, che avrà come risposta l'affidamento delle rimesse degli stranieri a canali non ufficiali
6) chi affitta casa a un immigrato irregolare rischia confisca e multa ( ora la disposizione sembra mitigata e circoscritta)
7) la dichiarazione di stato d'emergenza in relazione agli insediamenti di comunità nomadi in tre regioni italiane ( Campania, Lazio, Lombardia), con richiamo espresso a situazioni d'eccezionalità, oltrepassando, tuttavia, esplicitamente il doveroso perseguimento di condotte illecite e perciò stesso il principio di responsabilità penale individuale con una criminalizzazione collettiva delle comunità nomadi Rom, sulla base di pregiudizi razziali

Se la sicurezza non può che essere un valore sociale esplicitamente funzionale alla convivenza civile e non tanto un discrimine di cittadinanza, ne' tantomeno un disvalore costruito sulla condizione personale di “straniero”, ciò rende ampiamente discutibile il “Pacchetto sicurezza” nella sua filosofia d'intervento e nella stessa struttura, oltrechè sotto il profilo della legittimità costituzionale internazionale e comunitaria , poiché rende assolutamente più difficile l'esercizio di diritti fondamentali quali la libertà personale, il diritto d'asilo, il diritto all'unità familiare e alla libertà di circolazione e di soggiorno dei cittadini comunitari ed extracomunitari in Italia.

Il tasso di sicurezza collettiva, come condizione vissuta, ma soprattutto percepita, non aumenta certamente con il proliferare di una normativa di tal genere, ampiamente illegittima, ma con una disciplina più efficace sui nuovi flussi d'ingresso per lavoro e favorendo misure effettive di integrazione sociale.

Il concetto di insicurezza, al di là di ogni considerazione sulla sua origine o creazione, è un concetto altamente indefinito, essendo ora percepito e qualificato in maniera estremamente diversificata a seconda dei contesti urbani, delle configurazioni delle periferie, così come dei territori regionali di riferimento.
Si andranno così a creare situazioni estremamente diversificate sull'intero territorio nazionale, con un aggravarsi di tendenze localistiche nonché di fenomeni di diffuso razzismo verso gli stranieri e di attribuzioni di poteri forti in capo all'Autorità locale comunale ( quali la sicurezza urbana e l'ordinata convivenza) .
Anche la possibilità paventata che il Prefetto possa sostituirsi al Sindaco, rispetto a ipotetiche minacce , relative all'incolumità pubblica e/o alla sicurezza urbana” costituisce un pericoloso ritorno al passato , nel quale l'Autorità statale presente in sede locale può avocare a sé poteri straordinari d'intervento , in funzione di “garante” della convivenza civile, con un chiaro monito a quei sindaci che non si avvarranno di ordinanze contingibili ed urgenti per affrontare e risolvere situazioni di trasformazioni sociali profonde, come quelle in atto.

Se l'attuale normativa sul diritto di cittadinanza non appare più in grado di rispondere alle sfide e alle domande di coesione sociale derivanti da una trasformazione ormai irreversibile che ha posto l'Italia da paese d'emigrazione a paese oggetto di flussi d'immigrazione, tuttavia l'attuale “Pacchetto sicurezza” prelude a situazioni reattive di estrema pericolosità dettate da chiusura identitaria e da radicalizzazione socio-politica.

La disposizione del reato d'ingresso illegale degli stranieri extracomunitari in Italia, ad esempio, esprime tutta la propria gravità, in quanto si pone in contrasto insanabile con i principi essenziali del proprio stato di diritto e dell'art.3 della Costituzione europea per i diritti umani , criminalizzando i migranti e sanzionando sempre più le condizioni soggettive e non tanto le rispettive condotte.

La vera e unica prevenzione dell'immigrazione clandestina potrebbe attuarsi tramite l'aumento degli ingressi regolari per lavoro, ovvero su una nuova disciplina degli ingressi per lavoro che consenta l'incontro diretto della domanda e dell'offerta di lavoro sul territorio nazionale. Soltanto dopo aver riformato la disciplina dei nuovi ingressi, eventuali casi di ingresso irregolare dovrebbero essere trattati con controlli giudiziari mirati, per evitare il sovraffollamento delle strutture penitenziarie di extracomunitari in attesa di giudizio.
Inoltre, qualificare l'ingresso illegale come reato spingerebbe i migranti clandestini a ad affidarsi alle organizzazioni criminali sia per l'ingresso che per la permanenza, rendendoli ancor più vulnerabili di fronte a fenomeni di abuso e di sfruttamento.

Se il disegno di legge Amato-Ferrero mirava all'estensione della formula del contratto di ricerca-lavoro ( prevedendo anche un allargamento della possibilità di ricongiungimento familiare) tramite la garanzia di sponsor o tramite autosponsorizzazione, l'attuale politica di sanzione dell'ingresso illegale si fonda sul principio di criminalizzazione, di carcerazione e di espulsione dell'immigrato clandestino, con misure che della repressione fanno un approccio di sistema e non di extrema ratio. In tal senso occorre interrogarsi se l'inasprimento delle pene sia uno strumento per assicurare la sicurezza collettiva all'interno del territorio nazionale o sia in visibile contrasto con la normativa comunitaria, nella quale ordine pubblico e sicurezza devono configurarsi come eccezioni rispetto al principio li libertà di circolazione e di reale integrazione sociale dei migranti. nonché di fenomeni di diffuso razzismo verso gli stranieri.

lunedì 21 aprile 2008

La presenza della 'ndrangheta a Reggio Emilia

Lavoro di gruppo sulle relazioni di Enzo Ciconte e Italo Materia
sintesi a cura di Salvatore Coda


Il quadro della situazione attuale relativo alla presenza ed alla penetrazione all' interno del tessuto economico della 'ndrangheta emerso in occasione del seminario recentemente organizzato, cui hanno preso parte il prof. Enzo Ciconte, ex parlamentare della commissione antimafia ed illustre studioso del fenomeno criminale 'ndranghetista oltre che docente universitario a Roma ed il procuratore della repubblica di Reggio Emilia dr. Italo Materia, deve indurre forte preoccupazione.

Il prof. Ciconte, infatti, ha delineato sotto il profilo storico la genesi del radicamento della 'ndrangheta in Emilia Romagna ed a Reggio Emilia in particolare, favorito dal fatto che nel corso degli anni 70 la magistratura ha fatto ampio uso dell' istituto del “soggiorno obbligato” per quegli elementi appartenenti al mondo criminale che si segnalavano all' attenzione delle forze dell' ordine, sul presupposto, rivelatosi poi storicamente infondato, che l' allontanamento fisico dai luoghi d' origine di costoro garantisse la recisione dei legami criminali che li vedevano attori e protagonisti di fatti criminali; viceversa la dislocazione di costoro verso aree del paese connotate da un tessuto economico e sociale privo, per ragioni intuibili, di quegli anticorpi che derivano dal controllo sociale e da una irrilevante presenza di criminalità autoctona ha fatto sì che i clan di appartenenza dei “soggiornanti obbligati” si radicassero anche in queste aree del paese senza trovare di fronte significative resistenze.

E' quindi intuibile come tali organizzazioni criminali abbiano, da un lato, potuto “accumulare capitale” in forma illecita (attraverso la commissione di delitti classici: sfruttamento della prostituzione, usura, reati predatori) per destinarlo ad investimenti nel traffico degli stupefacenti, connotato da elevatissima redditività per unità di capitale investito e relativo basso “rischio d' impresa”, (le statistiche ufficiali dicono che solo il 10/15% dello stupefacente circolante è intercettato dalle forze dell' ordine) e, dall' altro, investire i ricavi così realizzati in attività produttive nei settori alberghiero, edile, commerciale, dei trasporti proprio in quelle aree del paese in cui originariamente furono prodotti illecitamente i capitali stessi.

Nella realtà reggiana tale processo di penetrazione nel tessuto economico si è dipanata attraverso la lotta intestina tra il clan Dragone e quello dei Grande Aracri, anche per effetto di quelle dinamiche di scomposizione e ricomposizione dei gruppi criminali che caratterizzano la vita interna di tali organizzazioni con cadenza periodica.

Dal canto suo il procuratore della repubblica Italo Materia, pur con i limiti derivanti dal segreto investigativo cui è vincolato, ha delineato il quadro della situazione nella nostra provincia dal punto di vista squisitamente investigativo osservando, con felice metafora, come la criminalità organizzata segua una strategia di tipo pallanuotistico nel senso che i “falli”, e cioè gli omicidi ed i regolamenti di conti tra clan rivali in lotta tra loro per accaparrarsi quote maggiori del mercato illecito, avvengono sotto la superficie dell' acqua, volendo intendere come la necessità per i clan di evitare l' innalzamento della pressione investigativa laddove si svolgono le attività lecite che vi fanno capo, non si verificano commissioni di reati eclatanti che potrebbero destare forte allarme sociale ed attirare l' attenzione delle strutture investigative.

Il dr. Materia ha poi evidenziato come alcuni comparti produttivi siano osservati con particolare attenzione anche in relazione al fenomeno del caporalato e del lavoro nero che costituiscono un ulteriore segnale di preoccupazione ed un indice della presenza sul territorio di tali organizzazioni criminali.

Interessante è stata poi la parte che il dr. Materia ha dedicato alla struttura di contrasto che l' ordinamento appresta, inquadrando il riparto della competenza all' interno della magistratura in materia di indagini sulla criminalità organizzata precisando come essa (ma non solo per tale categoria di delitti) sia attribuita alle sezioni specializzate istituite presso le procure dei capoluoghi dei distretti delle corti d' appello (per la nostra regione a Bologna); sono queste le famosa direzioni distrettuali antimafia (D.D.A.) che si atteggiano, sotto il profilo del coordinamento e della circolazione delle notizie acquisite in sede investigativa, con la direzione nazionale antimafia (D.N.A.) struttura fortemente sostenuta da Giovanni Falcone sulla base del presupposto secondo cui le organizzazioni criminali costituiscono una struttura unica, sia pure articolata in vari segmenti, e rispetto alle quali l' azione di contrasto investigativo deve poter svolgersi in ambito di contesto generale e non di singolo reato.

In conclusione possiamo affermare che la 'ndrangheta, per riconoscimento unanime da parte di tutti coloro che si occupano di tali fenomeni, rappresenta una delle strutture criminali più pericolose perchè è fondata su una struttura familistica nel senso vero e proprio del termine: non siamo qui in presenza di una semplice struttura economico-militare denominata famiglia (come nel caso della mafia o della camorra, pur con i necessari distinguo) bensì di fronte ad un' articolazione su base di consanguineità e parentela vera e propria; ciò spiega anche perchè il fenomeno del cd. “pentitismo” non ha dispiegato tutto il suo potenziale destrutturante nel caso della 'ndrangheta in quanto l' affiliato che vogli a dissociarsi deve superare due barriere psicologiche; la prima rappresentata dal vincolo con l' organizzazione e la seconda rappresentata dal vincolo con il proprio genitore, fratello, figlio.

Del resto tale pericolosità e pervasività si deduce anche dal fatto che le investigazioni hanno fatto scoprire ingentissimi investimenti all' estero (Canada, Sud America) e che hanno dimostrato come ormai la 'ndrangheta sia leader mondiale nel traffico degli stupefacenti avendo stretto legami profondi direttamente con le organizzazioni del Sud America, in particolare colombiane, che si occupano della coltivazione della coca e del suo primo avviamento al mercato sotto forma di materia prima base per la succesiva raffinazione.

martedì 12 febbraio 2008

La società liquida

Lavoro di gruppo sulla relazione di Vincenzo Moretti
sintesi a cura di Marianella Casali


Nell'immaginario dominante , la narrazione collettiva di carattere postideologico che si coglie è quella che ritrae la società in cui il conflitto sembra non avere più caratteri spiccatamente identitari o emancipativi che riguardano sia l'uso e la distribuzione delle risorse , le politiche di protezione e di stato sociale -
Il conflitto tra capitale e lavoro si moltiplica e si confonde anche su terreni diversi, come il territorio, le politiche di coesione sociale e di sicurezza, le politiche familiari, mentre i soggetti sociali si frammentano in individui o in gruppi di individui, in corporazioni, che sembrano non interessare più tanto e solo le classi sociali, ma piuttosto i generi, le generazioni, i lavoratori subordinati e gli atipici, i flessibili, ecc.
Ciò, in parte, determina un'involuzione dei modelli sociali esistenti, senza più certezze di tenuta, in cui in un processo di individualizzazione e di atomizzazione la rappresentanza del lavoro, benchè centrale, non è più sufficiente a rappresentare condizioni sociali definite. Inoltre, il lavoro, in sé non garantisce più l'esclusione dalle soglie di povertà e di vulnerabilità sociale, che possono diventare fenomeni di slittamento comuni e abbastanza diffusi per molte classi sociali, con carattere di intergenerazionalità, con similitudini e differenze tra i sessi.
Le grandi reti pubbliche di servizi collettivi hanno registrato vistose interruzioni, mentre il processo di globalizzazione senza regole , d'internazionalizzazione senza confini e di delocalizzazione progressiva hanno segnato vere e proprie cadute non solo delle protezioni nazionali e di Stato, ma anche dei legami comunitari e di coesione sociale.
Se negli ultimi 25 anni sono lievitati in maniera significativa la durata e la profondità delle crisi economiche e l'instabilità del lavoro sono al contempo aumentate percezioni di insicurezza collettiva e individuale che hanno scaricato sul lavoro e sulla condizione sociale e di cittadinanza una condizione di frantumazione delle connessioni che legano comunità locali, autonomie soggettive e responsabilità pubbliche. La condizione di lavoro, anzitutto, ha registrato un vistoso sfaldamento tra livello di sicurezza e protezione associato al reddito, potenziata dall'asimmetria esistente tra fasi lavorative e bisogni e aspirazioni che tendono sempre più a divaricarsi. Ciò aumenta una pericolosa percezione di evoluzione della rappresentanza sociale, tale a volte da indurre a una sorta di superamento delle funzioni stesse degli organismi intermedi di rappresentanza e del Sindacato stesso.
La battaglia è culturale, ovvero quella di rompere il pregiudizio secondo cui non è più auspicabile , una rappresentanza generale del lavoro, dei lavoratori e delle loro condizioni di vita.
Nelle condizioni attuali non è automatico né tantomeno ovvio rappresentare la società frammentata con l'obiettivo di leggere, interpretare, porre domanda e indicare strategie di risposte coerenti alla società frammentata che abbiamo di fronte, unificando interessi apparentemente diversi, in una condizione di trasparenza, equità e legalità, nell'esercizio collettivo e universale della cittadinanza.
La sfida attuale anche in termini di nuova coesione sociale è quella di salvaguardare conquiste di garanzie del lavoro, la promozione e la valorizzazione delle soggettività così come la cura delle identità collettive e dei diritti , proprio nella seconda fase della globalizzazione in cui assistiamo a un peggioramento generalizzato delle tutele universalistiche.

domenica 10 febbraio 2008

sabato 9 febbraio 2008

Lavoro precario

Nell’attuale fase di sviluppo delle società industrializzate lavoro e precarietà vengono associati sempre più di frequente. Nel corso degli ultimi 25 anni sono lievitati in maniera significativa la durata e la profondità delle crisi economiche, l’instabilità del lavoro, l’insicurezza dei lavoratori, la frustrazione associata alla perdita di STATUS. Si determina una similitudine perversa tra sconfitta sul mercato e perdita della stima di sé; l’aumento del senso di colpa va di pari passo con la perdita dell’autonomia, della dignità, del valore del lavoro.

Ancora nel 2004 un rapporto dell’International Labour Organization (ILO) ha evidenziato come il lavoro non può essere valutato soltanto sulla base del tasso di occupazione, del livello di reddito, della flessibilità. Gli indicatori qualitativi come per l’appunto la stabilità e la sicurezza dell’impiego, i diritti e le tutele normative, scrivono gli autori, sono indispensabili per definire in maniera più compiuta il livello di benessere dei lavoratori dato che esso non dipende solo dalla possibilità di poter disporre di un reddito dignitoso ma anche, soprattutto, dal livello di sicurezza e di protezione associato al reddito.

Nel suddetto rapporto vengono individuati sette indicatori che determinano l’indice di sicurezza economica (Economic Security Index - ESI): l’occupabilità, il lavoro regolare e non soggetto a licenziamenti arbitrari, la salvaguardia della salute e la tutela in campo infortunistico, la crescita professionale, l’acquisizione di nuove competenze e conoscenze, la protezione del potere d’acquisto dei salari, la presenza di soggetti forti di rappresentanza.

I 90 paesi analizzati sono stati invece suddivisi in quattro classi: quelli d’avanguardia, perché caratterizzati da buone politiche, buone istituzioni e buoni risultati; quelli pragmatici, perché presentano buoni risultati nonostante politiche e istituzioni non particolarmente attive; quelli convenzionali, nei quali a buone politiche e istituzioni non corrispondono buoni risultati; quelli dove c’è molto da fare, perché a scarsi risultati si associano politiche e istituzioni deboli.

I risultati?
I «quasi poveri» sono decisamente in aumento, così come la precarietà del lavoro e il livello di stress dei lavoratori. Il tasso di scolarità e formazione si traduce in una diminuzione del tasso di benessere, fino a provocare quella che la ricerca ILO definisce «effetto di frustrazione legata allo STATUS», in tutti i casi nei quali le persone svolgono mansioni inferiori al livello delle loro capacità e qualifiche.

Detto in altri termini, è molto diffusa l’insoddisfazione conseguente all’asimmetria esistente tra il lavoro che concretamente si fa e i bisogni e le aspirazioni, in particolare tra i lavoratori maggiormente scolarizzati.

da Vincenzo Moretti, Dizionario del Pensiero Organizzativo, Ediesse

venerdì 8 febbraio 2008

Il nuovo modello di polizia locale

Lavoro di gruppo sulla relazione di Rossella Selmini
sintesi a cura del Coordinamento Provinciale CGIL Polizia Locale Reggio Emilia

La Legge regionale delle Emilia Romagna 24/2003 ha rappresentato un nuovo "modello" di polizia locale, che, da una parte ha recepito le esperienze e le sperimentazioni che la Polizia Municipale ha sviluppato nell'ambito delle politiche locali di sicurezza urbana promosse dagli enti locali emilano-romagnoli, a partire dalla metà degli anni '90 e, dall’altra ha recepito gli sviluppi normativi che hanno riguardato l'ambito della polizia amministrativa (1) e che hanno visto un progressivo trasferimento di funzioni amministrative da parte dello stato agli Enti territoriali.
La legge regionale promana direttamente dalla legge 3/2001 (Riforma del Titolo V della Costituzione) all'art. 17 che afferma la potestà legislativa esclusiva delle Regioni in materia di Polizia Amministrativa Locale lasciando allo Stato la potestà normativa esclusiva in materia di ordine pubblico e pubblica sicurezza (2) .
Lo stesso titolo della legge "Disciplina della Polizia Amministrativa Locale e promozione di un sistema integrato di sicurezza" esprime la volontà di legare in maniera essenziale il tema della sicurezza urbana con quello della Polizia Locale e di sottolineare la complementarietà e integrazione delle materie ma, contemporaneamente, il fatto che l'intervento di polizia non esaurisce l'intervento nel campo della sicurezza urbana.
L’apporto alle questioni inerenti la sicurezza che la polizia locale può mettere in campo non può, infatti, essere unilaterale o esaustivo di se stesso, non può essere rappresentato in maniera astratta o estemporanea o dettato dall’emergenza politica del momento. Affinché risulti efficace, deve essere legato ad un modello di sicurezza basato sul concetto di prossimità cui concorrono anche agenzie pubbliche e private che, attraverso protocolli, moduli organizzativi, strumenti, approcci innovativi promossi sul territorio, costituiscono un sistema integrato messo in rete.
Sul tema della sicurezza urbana, in particolare, negli ultimi 10 anni la Polizia Municipale ha dovuto adeguare continuamente il proprio intervento parallelamente alla crescita del ruolo dei Sindaci su questo terreno, anche a seguito della elezione diretta del Sindaco e del processo di valorizzazione degli Enti Locali.
In forza della nuova potestà legislativa esclusiva in materia di polizia amministrativa locale la Regione ha avuto la possibilità di conferire alla materia della Polizia Amministrativa Locale le caratterizzazioni più confacenti al contesto politico, sociale, economico e culturale del contesto regionale.
Elemento peculiare di un modello di Polizia è senza dubbio il modello organizzativo. In questo senso la legge regionale pur incentrando l'attività della Polizia Amministrativa Locale in capo ai Comuni interviene a dettare norme per garantire, in maniera uniforme su tutto il territorio Regionale, standard minimi qualitativi e quantitativi del servizio di Polizia Locale.
Si tratta, come si evince da diversi documenti ufficiali della regione Emilia Romagna, di un sistema "a rete" di corpi di Polizia Locale. Un modello quindi di Polizia Locale fortemente incentrato sui territori ma in grado, nel suo complesso, di assolvere in maniera omogenea alle funzioni assegnate.
L'omogeneità viene garantita dalla Regione attraverso l'emanazione di raccomandazioni tecniche in ordine al reclutamento del personale, alla dotazione di mezzi e strumentazioni (3), all' organizzazione delle attività, alle modalità di collaborazione con il volontariato ecc., materie su cui interviene la potestà regolamentare dei Comuni attraverso la redazione dei Regolamenti dei Corpi e dei servizi di Polizia Municipale.
Altro elemento costituivo di un modello di polizia è l'assetto funzionale.
Da una lettura organica della legge 24/2003 si evince chiaramente che il modello di polizia sotteso è quello di una "polizia di servizio", fortemente radicata sul territorio e orientata alla soluzione dei problemi. La legge afferma che i corpi di Polizia Municipale sono costituiti per garantire l'ordinato svolgimento di attività che, anche quando riguardano compiti più "tradizionali" assumono connotazioni innovative in questo nuovo contesto legislativo:
• tutela della mobilità e sicurezza stradale
• tutela del consumatore comprensiva delle funzioni di polizia commerciale con particolare riferimento alle forme di commercio irregolare
• tutela della qualità urbana e rurale
• tutela della vivibilità e sicurezza urbana comprensiva dell'attività di polizia giudiziaria
Nell'economia complessiva della legge questi compiti si configurano, per così dire come “standard minimi" che tutti i corpi di Polizia devono garantire mentre si rinvia all'ambito degli accordi tra Comuni e Autorità Provinciali di Pubblica Sicurezza il completamento delle funzioni.
Si fa riferimento evidentemente all'esperienza dei protocolli e contratti di quartiere che, avendo l'obiettivo di sviluppare politiche locali di sicurezza di carattere integrato e partenariale possono prevedere particolari impegni per la Polizia Municipale o livelli di coordinamento o partecipazione ad attività più strettamente legate all'Ordine Pubblico.
La legge afferma infatti che si tratta di compiti che attengono al controllo integrato del territorio secondo i principi di prossimità e di coinvolgimento dei cittadini, la gestione di fenomeni complessi come la violenza sui minori, la prostituzione, le tossicodipendenze, la gestione di sistemi informativi integrati.
Anche su questo punto la legge valorizza l'esperienza sviluppata da alcuni Comuni nell'ambito dei protocolli/ Contratti di Sicurezza dandole una base legislativa.
In definitiva la legge regionale delinea un modello di polizia locale in grado di impegnarsi in maniera modulare e flessibile, e al di là di funzioni minime, in base alle specificità territoriali.
Significativo è il richiamo al tema dei moduli organizzativi ispirati ai principi di prossimità in quanto evoca un modello di polizia con un ruolo attivo nell'individuazione dei problemi di un territorio e nella definizione di strategie preventive integrate nel senso di una polizia capace di attivare altre risorse, formali e informali, interne ed esterne all'Ente, (altre polizie, cittadini, volontari, altri servizi) con cui lavorare per la soluzione dei problemi.
Oltre a definire la "filosofia" cui deve ispirarsi il lavoro della Polizia Locale la legge individua anche due soggetti, la vigilanza privata e il volontariato (4), come soggetti che possono apportare un valore aggiunto al lavoro di polizia per il presidio del territorio.
E' chiaro che il modello e il ruolo della Polizia Locale non può essere slegato, sui temi della sicurezza urbana, da quello che è il modello delle polizie nazionali a valenza generale e il possibile livello di coordinamento tra Polizia Locale e Polizie Nazionali.
La Polizia (statale e locale) deve quindi, al contempo, fronteggiare la complessità di fenomeni globali e rispondere alle istanze locali di sicurezza dei cittadini che si vivono a livello territoriale l'impatto di tali fenomeni. Da un lato i grandi traffici e i mercati irregolari (droga, prostituzione, immigrazione clandestina ecc.) dall'altro aspetti microsicuritari (piccola delinquenza, degrado sociale e fisico del territorio dovuto alla presenza di questi fenomeni, insicurezza dei cittadini).
Per il sistema delle polizie si tratta quindi di integrare il livello e l'ambito di intervento in modo da poter rispondere ad entrambi i livelli di problematicità.
La Polizia Locale, così come si configura nell'ambito della Legge Regionale, può efficacemente rispondere ad una parte dei bisogni di sicurezza legati al microambiente attraverso l'approccio di prossimità e l'integrazione con altri soggetti di cui si è già detto.
Nella realtà reggiana, gli approcci descritti, hanno investito maggiormente i servizi associati di polizia municipale della provincia, a differenza della città che, a tutt’oggi, sembra essere assolutamente impermeabile a questa trasformazione. In provincia ad esempio, nell’approvazione dei Regolamenti dei Corpi Unici o Associati sono state recepite pienamente tutte le indicazioni previste dalla legge Regionale.
Il percorso per la piena attuazione della legge regionale, è ancora lungo ed il Coordinamento CGIL Polizia Locale sta operando in tal senso collaborando fattivamente con tutti i territori provinciali affinché la dimensione operativa e organizzativa della Polizia Locale sia il più uniforme e omogeneo possibile ed in linea con quanto prescritto dalla Regione.

NOTE
1. Il concetto di Polizia Amministrativa non deve essere interpretato in senso giuridico stretto (polizia del diritto amministrativo) ma in senso generale, inteso cioè come polizia dell’amministrazione, della gestione della quotidianità. Si tratta di funzioni dedicate alla tutela del rispetto ordinamentale per questioni di più pratica consistenza, di più minuziosa individuazione e solitamente di minore drammaticità sociale, ciò nonostante di più immediato contatto.

2. L'Ordine Pubblico è quell'insieme di norme fondamentali dell'ordinamento giuridico riguardante i principi etici e politici la cui osservanza ed attuazione è ritenuta indispensabile per l'esistenza di tale ordinamento (v.L.Paladin, Ordine Pubblico, in N.ssimo Dig., XII). Tale parte del diritto, costituita sia dai principi generali e fondamentali dell'ordinamento che da concrete norme giuridiche, riguarda le norme costituzionali dello Stato, la posizione dei suoi organi supremi, la personalità e la libertà dei cittadini, l'ordinamento del matrimonio e della famiglia, la capacità delle persone fisiche e giuridiche, i rapporti tra le classi sociali. Sotto il profilo dei compiti istituzionali degli addetti alle funzioni di polizia, con la locuzione ordine pubblico s'intende genericamente un complesso di servizi, tecniche, addestramento e così via, inerenti al mantenimento di condizioni di ordine (e pertanto, fondamentalmente di prevenzione e/o repressione di tumulti) in circostanze in cui si prevede un intenso afflusso di persone (tipicamente: manifestazioni politiche o sindacali, partite di calcio, spettacoli pubblici e simili). Cosa diversa rappresenta invece il concetto di Pubblica Sicurezza (P.S.). La pubblica sicurezza riguarda tanto le attività di polizia, volte ad assicurare la "sicurezza" attraverso il rispetto delle norme di legge, quanto quelle attività istituzionali comunque finalizzate a prevenire che la collettività possa patire danni da eventi fortuiti e accidentali, infortuni e disastri naturali, climatici, o di qualunque altro genere, o comunque a prevenirne l'aggravio del danno attraverso l'organizzazione di forme di prevenzione e di soccorso. Nell’ordinamento italiano riveste la qualifica di Ufficiali e Agenti di P.S. la Polizia di Stato, rivestono invece solo la qualifica di Agenti di P.S. i Carabinieri, la Guardia di Finanza, la Polizia Penitenziaria, il Corpo Forestale dello Stato, la Polizia Locale (Municipale e Provinciale). Pubblica Sicurezza e Sicurezza Pubblica sono due concetti diversi, il primo è un concetto giuridico regolato principalmente dal T.U.L.P.S. mentre , il secondo è un concetto di natura sociologica che afferisce al problema generale della sicurezza e della civile ed armoniosa convivenza.

3. Negli articoli seguenti della Proposta di regolamento base per i Corpi Intercomunali di Polizia municipale delle Unioni di Comuni e delle Comunità montane dell’Emilia-Romagna e per i Corpi di Polizia Municipale, (alla cui elaborazione ha fattivamente contribuito anche la CGIL) si evince quali sono e con quale finalità devono essere usate le dotazioni di autotutela. Si ritiene che su questo tema non sia utile assumere posizioni “politiche” ma rimettersi alle norme regionali e nazionali in tal senso. n.d.a.
Art. 53
Strumenti di autotutela
1. Gli appartenenti al Corpo possono essere dotati di strumenti di autotutela che non siano classificati come arma.
2. Per strumenti di autotutela, che hanno scopi e natura esclusivamente difensiva, si intendono, lo spray irritante e il bastone estensibile. Con riferimento a quest'ultimo, il porto dello stesso è disposto dal Comandante per specifici servizi che lo facciano ritenere necessario.
3. L'acquisto e l'assegnazione di detti strumenti deve risultare da apposito registro di carico e scarico sul quale risultino, con riferimento agli spray, le sostituzioni delle parti soggette a consumo o deterioramento.
Art. 54
Formazione ed addestramento all'uso
1. L'assegnazione degli strumenti di autotutela di cui all'art. 53 può avvenire solo ed esclusivamente dopo l'effettuazione di un apposito corso che preveda, oltre all'addestramento all'uso, anche una adeguata formazione relativamente ai presupposti normativi che ne legittimino l'eventuale utilizzo.
2. La formazione e l'addestramento devono avere una durata di almeno 8 ore complessive e devono prevedere, al loro termine, il superamento di una specifica verifica.
3. Il comandante dà atto, nel provvedimento di assegnazione, dell'avvenuta formazione.
Art. 55
Caratteristiche degli strumenti di autotutela
1. Lo spray antiaggressione consiste in un dispositivo, dotato di bomboletta ricaricabile, contendente un prodotto le cui caratteristiche di composizione devono essere le stesse dei prodotti di identica tipologia in libera vendita ed il cui effetto, non lesivo rispetto all'uso su persone o animali, sia garantito da apposita documentazione attestata dal produttore.
Il dispositivo deve essere fornito con la documentazione tecnica, in italiano, che riporti: lìindicazione delle sostanze contenute e del loro quantitativo, le necessarie istruzioni per l'utilizzo, l'indicazione degli interventi da effettuare per far cessare gli effetti irritanti dopo il suo uso, nonché gli eventuali effetti collaterali riscontrabili.
La quantità di sostanza contenuta nella bomboletta deve essere facilmente verificabile da ciascun assegnatario e così dicasi pure per la data di scadenza che deve essere verificabile direttamente ed agevolmente.
2. Il bastone estensibile consiste in un dispositivo, di colore bianco, composto da elementi telescopici che in condizione di non utilizzo rimangono chiusi l'uno all'interno dell'altro. Lo strumento deve essere strutturato in modo che non si verifichino aperture accidentali. Ogni strumento dovrà recare un numero identificativo e l'indicazione dell'ente proprietario.
Il dispositivo, in quanto strumento di autodifesa, non può essere aperto, nel corso dello svolgimento dei servizi, se non in condizioni che ne legittimino un eventuale uso per finalità esclusivamente difensive.

4. Da questa nota si evince quanto sia in realtà strumentale ed inutile, nella nostra regione, tutto il baccano intorno al tema delle c.d. “ronde”. All’art. 8 della L.R. 24/2003 infatti, e successivamente con la direttiva applicativa 279/2005, la Regione ha voluto normare l’utilizzo del volontariato all’interno delle politiche integrate di sicurezza. Nello specifico Al comma 1 dell’art. 8 la L.R. n. 24 indica espressamente le finalità in base alle quali utilizzare forme di volontariato; esse sono volte a realizzare una presenza attiva sul territorio con il fine di promuovere l’educazione alla convivenza e il rispetto della legalità, la mediazione dei conflitti e il dialogo tra le persone, l’integrazione e l’inclusione sociale. Tale attività si configura, inoltre, come un servizio pubblico volontario aggiuntivo e non sostitutivo di quello ordinariamente svolto dalle strutture di Polizia Locale.
Lo spirito della presenza del volontario deve pertanto essere improntato ad una figura amica e rassicurante che, mediante una attenta capacità di ascolto della comunità presso la quale è chiamato ad operare, contribuisce allo sviluppo: delle azioni di prevenzione; delle attività di informazione rivolte ai cittadini; delle attività di educazione e sicurezza stradale;
di una maggiore presenza e visibilità del Comune nello spazio pubblico urbano;
del collegamento fra i cittadini, le polizie locali e gli altri servizi locali;
del senso civico della cittadinanza;
di un maggior rispetto delle regole che le comunità si danno per assicurare a tutti una civile e serena convivenza.

Nello svolgimento di tale attività il volontario acquisisce capacità di osservazione del territorio e di selezione delle informazioni che possono risultare utili per migliorare la qualità delle relazioni e delle attività nello spazio pubblico urbano:
delle azioni di prevenzione; delle attività di informazione rivolte ai cittadini; delle attività di educazione e sicurezza stradale;
di una maggiore presenza e visibilità del Comune nello spazio pubblico urbano;
del collegamento fra i cittadini, le polizie locali e gli altri servizi locali;
del senso civico della cittadinanza;
di un maggior rispetto delle regole che le comunità si danno per assicurare a tutti una civile e serena convivenza.

Nello svolgimento di tale attività il volontario acquisisce capacità di osservazione del territorio e di selezione delle informazioni che possono risultare utili per migliorare la qualità delle relazioni e delle attività nello spazio pubblico urbano.